Con il Bol’šoj danza la storia (e Putin)

La compagnia alla Scala con Bayadère e La bisbetica domata Per Nikya l’etoile Zakharova e la rivelazione Alyona Kovalyova In scena Jacopo Tissi primo italiano nel Corpo di ballo russo

A Milano sono arrivati grazie ai fondi, pare almeno quattro milioni di euro, che il presidente russo Vladimir Putin ha messo in campo per far conoscere la cultura russa. Un progetto che si chiama Le stagioni russe: oltre trecento eventi tra spettacoli, concerti, mostre in settanta città italiane per sei milioni di spettatori. Operazione culturale che, come sempre, è anche politica e in qualche modo si fa strada nella nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Russia.

Ma il Corpo di ballo del Teatro Bol’šoj è a Milano non solo grazie ai fondi statali. Perché sotto la locandina degli spettacoli della compagnia di Mosca al Teatro alla Scala c’è, in bellavista, il logo dei magazzini Gum, quelli che si affacciano sulla Piazza Rossa della capitale russa. Roba da ricchi, viene da dire vedendo anche la paltea scaligera durante gli spettacoli di questa settimana che ha visto la compagnia tornare a Milano dopo 11 anni. Vestiti eleganti, clima quasi da 7 dicembre. Molti russi in sala. L’attesa era molta perché il Bol’šoj mancava dal capoluogo lombardo dal 2007 quando i danzatori arrivarono in città con La figlia del faraoneIl limpido ruscello. Un classico e un titolo contemporaneo. Come oggi quando in scena ci sono un super-classico come La Bayadère nella versione coreografica di Jurij Grigorovič dall’originale di Marius Petipa e un lavoro contemporaneo come La bisbetica domata, storia shakespeariana raccontata sulle punte da Jean-Christophe Maillot in un balletto creato appositamente per la compagnia nel 2014.

Un gemellaggio che riannoda i legami tra i due teatri che in comune hanno l’étoile, Svetlana Zakharova, «felice di ballare con il Bol’šoj alla Scala perché qui mi sento a casa, sono una della compagnia, ho fatto qui tantissimi ruoli e ho imparato molto» ha raccontatao la ballerina, protagonista ne La Bayadère. Non solo la Zakharova, però. Il gemellaggio (a settembre di due anni fa gli scaligeri erano a Mosca con il Verdi del Simon Boccanegra e del Requiem) ha riportato a Milano Makhar Vaziev, sino al 2015 direttore del Corpo di ballo della Scala e poi volato, a sorpresa, a Mosca dove oggi guida la compagnia russa. E dove si è portato Jacopo Tissi, classe 1995 di Landriano (Pavia), formatosi alla Scuola di ballo della Scala e oggi primo solista del Bol’šoj,primo italiano nella storia ad essere ingaggiato dal Bol’šoj. Applauditissimo, Tissi, sul palco del Piermarini dove è stato impeccabile protagonista nei panni di Solor – che ha disegnato nel suo essere un uomo tormentato dall’amore – accanto a una sorprendente Alyona Kovalyova, diciannove anni, neodiplomata, ma con già un carisma da étoile che ha sfoggiato nella sua interpretazione di Nikiya. Da applausi anche la Gamzatti di una solidissima (tecnicamente e interpretativamente) Kristina Kretova.

Vedere uno spettacolo di balletto del Bol’šoj è come prendere una macchina del tempo e tornare alla sera della prima, quando movimento e musica si sono fatti danza per la prima volta. Ma l’effetto non è da museo. Perché la celeberrima compagnia russa guarda avanti, attingendo alle proprie radici e tenendo vivo un passato in un continuo dialogo con il presente. Lo dicono i titoli portati a Milano. La Bayadère, innanzitutto, storia di un amore tragico. Nikiya, la bayadère del titolo, danzatrice scara al tempio, amata dal gran bramino, innamorata di Solor a sua volta promesso sposo di Gamzatti. Amori che finiranno tragicamente: Nikya muore morsa da un serpente nascosto in un cesto di fiori dalla rivale; Solor, sotto l’effetto dell’oppio, la rivede nel mondo delle ombre dove resterà imprigionato in eterno inseguendo lo spettro dell’amata

Solor che alla prima era Denis Rod’kin capace di entusiasmare per la tecnica mozzafiato messa al servizio del personaggio. Trentadue le ballerine in tutù bianco che ipnotizzano nell’atto delle ombre, incredibili nella perfezione delle linee. atto che è il culmine di una favola tragica raccontata a passo di danza da Petipa nel 1877 (la musica di Luwig Minkus è affidata alla bacchetta di Pavel Sorokin alla guida dell’orchestra dell’Accademia della Scala) e ricostruita fedelmente da Grigorovič in uno spettacolo dove ogni particolare (scene e costumi da kolossal sono di Nikolaj Šaronov) è perfetto. Come l’interpertazione della Zakharova che quando balla con il Bol’šoj è insuperabile, interprete ideale del repertorio della compagnia russa che le calza a pennello come a nessun’altra. Qui intensa Nikiya, impeccabile nelle linee, emozionante nell’interpretazione di una donna che ama e soffre.

Ama e soffre anche Caterina, protagonista de La bisbetica domata. Secondo titlo che il Bol’šoj ha portato a Milano. Rilettura moderna, ma non troppo. Di segno contemporaneo più nelle scene di Ernest Pignon-Ernest e nei costumi di Augustin Maillot che nel linguaggio coreografico di Maillot (spunta anche un omaggio a John Cranko, autore di una Bisbetica domata di riferimento). Un linguaggio, quello del cinquantottenne coreografo francese, che su una solida base classica costruisce una drammaturgia (danzata) dei sentimenti.Un linguaggio che mette in luce la versatilità della compagnia russa, perfetta nel classico e impeccabile nel contemporaneo.Il racconto shakespeariano è collocato da Maillot in un non-tempo e in un non-luogo per dire che la vicenda di Caterina e del suo “domatore” Petruccio è di ieri e di oggi. Parla di cuori induriti, incapaci di aprirsi all’amore. E racconta un disgelo dei sentimenti, che avviene attraverso la durezza della vita, attraverso l’incontro/scontro con il dolore. I dialoghi sulle punte di Petruccio e Caterina sono una lotta fisica, richiamano alla mente Anna dei miracoli, nel loro mettere a nudo il dolore e trasformarlo in amore. In comunicazione di corpi e anime.

Passi a due, quelli che Maillot affida ai protagonisti, all’altra coppia formata da Bianca e Lucenzio, ma anche a tutti i personaggi che ruotano intorno a Caterina e Petruccio che sono variazioni sul tema dell’amore. Quello ideale di Bianca e Lucenzio cui regalano passione e poesia Ol’ga Smirnova e Semen Cudin. Quello prima fisico e poi tutto interiorizzato di Caterina e Petruccio, lei un’energica Ekaterina Krisanova, lui un carismatico Vladislav Lantratov. Amore che contagioa tutti nel finale ironico dove la musica di Dmitrij Sostakovic (diretta da Igor Dronov alla guida dell’Orchestra sinfonica Verdi) lascia spazio alle note di Tea for two in un quadro familiare tra il romantico e il malinconico dove l’amore, come in un sogno o in un gioco, si fa  vita quotidiana… sorseggiando una taza di te.

Nelle foto (@Yusipov, Logvinov e Blangero) La Bayadère e La bisbetica domata del Bol’šoj al Teatro alla Scala