Al Rof Adina di Rossini abita in una torta

Diario rossiniano. 4

A Pesaro Rosetta Cucchi ambienta la farsa negli anni ’50 Lisette Oropesa sembra Alice nel paese delle meraviglie Direzione tra sorriso e malinconia di Diego Matheuz

Ore 19.40. C’è trambusto davanti al Teatro Rossini, in pieno centro a Pesaro. Perché tra il pubblico che aspetta di entrare, biglietto in una mano, locandina nell’altra a farsi aria per combattere un po’ il caldo, si fanno strada strani personaggi. Tre ragazze in abiti rosa shocking, due in gonna, una, che poi è Adina, in pantaloni e blusa, in braccio un barboncino nero. A fare da scorta uscieri di un albergo in un’impeccabile divisa grigia. E un maestro delle cerimonie, in verde e viola. Telefonini alla mano il pubblico scatta foto e gira video da postare subito sui social. L’hastag è doppio, #rof #rossini150.

Perché questa corte dei miracoli che sembra uscita da una rivista patinata degli anni Cinquanta e si aggira tra piazza e foyer del teatro è il prologo un po’ pirandelliano, ma in formato avanspettacolo che Rosetta Cucchi ha voluto per Adina, secondo titolo dell’edizione 2018 del Rossini opera festival. Farsa in un atto, dunque sorriso assicurato e toni leggeri per la storia che Gherardo Bevilacqua Aldobrandini ha preso dai racconti de Le mille e una notte confezionando un libretto tra il comico e il patetico per Gioachino Rossini. Che lo ha messo in musica nel 1818, ma che ha visto andare in scena la sua opera solo nel 1826 a Lisbona. La scena si rappresenta in Bagdad, nel serraglio del Califfo dice il libretto.

La Cucchi – che, nata a Pesaro, gioca in casa – spazza via qualsiasi riferimento realistico e ambienta tutta l’azione dentro e fuori una grande torta nuziale (la scena di Tiziano Santi è bellissima così come i costumi di Claudia Pernigotti) che a sua volta è contenuta in una scatola da pasticceria a strisce bianche e azzurre – tanto simile nell’estetica al finale che Cesare Lievi aveva pensato per la sua Cenerentola al Metropolitan di New York, ma, diciamolo, la simbologia della torta è ampiamente sfruttata quando si racconta (come avviene quasi sempre nell’opera) una storia d’amore che corona in un matrimonio.

Peccato veniale perché lo spettacolo, una sorta di party per un matrimonio che culmina appunto nel taglio della torta, funziona con il pubblico che ride delle gag che la Cucchi costruisce sulla musica di Rossini. Musica dove al mestiere di alta fattura del compositore si unisce sempre quel colpo di scena inaspettato, che è nella musica, non solo nell’azione, con passaggi dalla leggerezza al dramma, che tiene desta l’attenzione.

Trama che si riassume nella classica frase da commedia, Cielo, mio padre! Adina, rapita e tenuta prigioniera nel serraglio dal Clifo che vuole sposarla, è innamorata diSelimo il quale, nel più classico meccanismo dell’opera buffa, si traveste da giardiniere per introdursi nel palazzo e provare a riprendersi l’amata. Scoperte le trame il Califo lo condanna a morte, Adina sviene e il Califo riconosce in lei la figlia. Cielo, mio padre! e tutto va a posto: Adina può sposare Selimo con la benedizione del ritrovato padre.

Trama semplice che la Cucchi racconta quasi fosse Alice nel paese delle meraviglie, personaggi stralunati si aggirano intorno alla torta, la decorano, la scompongono e ricompongono (ma non sempre la visuale da tutti i punti del teatro è ottimale per fruire al meglio l’azione), la abitano nei vari piani, da quello riservato al Califo con tanto di bagno turco a quello più in alto dove, come su una torta nuziale che si rispetti, ci sono le statuette degli sposi sempre intente a litigare. Un grande agitarsi in scena con ogni nota contrappuntata da un gesto in una girandola vorticosa di suoni e colori.

Tutto gira intorno ad Adina che Lisette Orpoesa racconta, con le sue straordinarie doti di attrice, come un’Alice sempre in bilico tra il sogno e la disperazione. Doti attoriali che vanno di pari passo con quelle vocali, eccellenti per un repertorio come quello del belcanto rossiniano dove il sorriso, appunto, ha sempre un retrogusto malinconico. Lo dirige così, sul podio dell’Orchestra sinfonica Rossini e del Coro del Teatro della Fortuna il venezuelano Diego Matheuz, misurato e divertito nel gioco teatrale rossiniano.

Voce squillante è quella che mette in campo Levy Sekgapane, tenore sudafricano vincitore del concorso Operalia di Placido Domingo nel 2017, nella parte dell’innamorato Selimo. Vito Priante offre la giusta doppiezza al Califo, mentre Matteo Macchioni, un passato nella scuola di Amici di Maria De Filippi e un presente da interprete rossiniano, è Alì, confidente del Califo costretto a indossare calze a rete e scarpe con il tacco. Stranezze che tutto sommato ci stanno nello stralunato serraglio (governato dal piglio dell’attore Luca Nucera nei panni dell’eccentrico maestro di cerimonie) nel quale la Cucchi ha trasportato la farsa rossiniana. Che alla fine scorre lieve come una soap opera. Nobilitata, certo, dalla musica di Rossini.

Nelle foto Studio Amati Bacciardi Adina al Rossini opera festival