Con Verdi Muti insegna i segreti del melodramma

A Ravenna l’Italian opera academy del maestro con Macbeth titolo diretto a Firenze per i 50 anni dal suo debutto in città

Lo dice a ragazzi che vengono da tutto il mondo. Dice, come va ripetendo da sempre, che «Giuseppe Verdi con la sua musica ci parla di noi». Parla di Pak Lok Alvin Ho, classe 1993, di Hong Kong. E di John Lidfors, americano, nato nel 1986. Parla di Wilbur Lin, classe 1988, anche lui in arrivo dagli Stati Uniti. E parla di Oleksandr Poliykov, ucraino, nato nel 1988. Tutti direttori d’orchestra. Verdi, naturalmente, parla anche di lui. Di Riccardo Muti che proprio oggi, 28 luglio, compie 77 anni.

«Sono nato a Napoli nel 1941, ma sono cresciuto a Molfetta. Mia mamma quando doveva partorire tornava nel capoluogo partenopeo perché, ci ha poi raccontato, se qualcuno ci avesse chiesto dove fossimo nati noi figli avremmo risposto Napoli, città conosciuta da tutti in tutto il mondo. Non come la meno nota Molfetta…» sorride il maestro che festeggia il suo compleanno in mezzo ai giovani. Ai ragazzi che partecipano alla quarta edizione dell’Italian opera academy, il laboratorio, la bottega musicale che il direttore d’orchestra si è inventato perché «arrivato a questo punto della mia vita e della mia carriera l’esperienza dell’Accademia era imprescindibile» spiega Muti che, dopo aver fondato nel 2003 l’Orchestra giovanile Luigi Cherubini per offrire ai ragazzi usciti dal conservatorio la possibilità di sperimentare il fare musica insieme, all’Accademia di Ravenna insegna il melodramma. «Per mettere al centro il nostro patrimonio musicale e trasmetterlo ai giovani per insegnare ai musicisti di domani come affrontare un melodramma dal punto di vista stilistico, per fare il punto sul ruolo del direttore d’orchestra».

Muti insegna il melodramma a quattro direttori d’orchestra. E ad altrettanti maestri collaboratori, fondamentali nella preparazione di uno spettacolo d’opera. Tre italiani, Alessandro Boeri, classe 1997, Andrea Chinaglia nato nel 1990 e Luca Spinosa, classe 1985. Un coreano, Jeong Jieun, nato nel 1986. Lo fa sul campo. Meglio, sul podio. Quello del Teatro Alighieri, aula delle lezioni di musica di Muti. Otto ore al giorno, dal 22 al 30 luglio. Poi, il 1 e il 3 agosto, i concerti per passare dalla teoria alla pratica. «I miei maestri sono stati Vincenzo Vitale, Bruno Bettinelli e Antonino Votto. Ho imparato i segreti del fare musica, ho capito cosa vuol dire dirigere l’opera italiana, un patrimonio che è solo nostro. Era un peccato non trasmettere ad altri questi insegnamenti» spiega il direttore che quest’anno ha scelto come manuale per le esercitazioni il Macbeth. Perché «è la visionarietà nella drammaturgia in musica e perché è l’opera di Giuseppe Verdi che più ho eseguito durante il mio percorso di direttore d’orchestra» spiega. Opera, il Macbeth, che di recente Muti ha diretto al Maggio musicale fiorentino per celebrare i cinquant’anni dal suo debutto nel teatro del capoluogo toscano.

Un filo rosso nell’estate del maestro, dunque, come era capitato lo scorso con Aida, diretta prima al Festival di Salisburgo e poi passata sotto la lente di ingrandimento con i ragazzi dell’Italian opera academy. Più di duecento le domande giunte quest’anno. Gli altri libri di testo, nelle precedenti edizioni, FalstaffTraviata. Sempre Verdi che «è il musicista della pace, dell’amore e della fratellanza che non appartiene solo all’Italia, ma a tutto il mondo». Si parte dallo studio della partitura al pianoforte perché, ricorda Muti, «attraverso il pianoforte si spiega cos’è l’interpretazione di un personaggio e quanto stabilito durante lo studio con la compagnia di canto è riportato in orchestra, con una cura della frase musicale, del timbro, del significato da dare a ogni nota che mette la musica sempre al servizio della parola». Proprio come voleva Verdi che, ricorda sempre il maestro, diceva ai cantanti: «Ricordatevi di servire più il poeta del musicista».

Battaglia, quella per difendere Verdi da chi lo annacqua riducendolo a zum pa pa, che Muti combatte da sempre. «La mia è una crociata a favore dell’integrità della partitura e contro la compiaciuta disattenzione con cui il melodramma è spesso presentato sui palcoscenici di tutto il mondo, a causa della mancata comprensione del rapporto tra musica e testo. Il nostro repertorio deve invece godere del medesimo rispetto riservato alla musica d’oltralpe» racconta.

Dopo aver sviscerato il Macbeth al pianoforte si passa a suonarlo in orchestra. La Cherubini, schierata sul palco dell’Alighieri. Muti passa il testimone, la bacchetta, ai quattro giovani colleghi/allievi che provano le pagine più popolari del melodramma verdiano. «Non serve sbracciarsi, non servono gesti plateali. Se si ha ben chiaro quello che si vuole ottenere si può trasmetterlo all’orchestra con un gesto essenziale» consiglia facendo girando tra i leggii e osservando i ragazzi sul podio. Le voci sono quelle di Serban Vasile e Vittoria Yeo, Macbeth e la Lady, Riccardo Zanellato e Giuseppe Distefano, Banco e Macduff. Il coro è il Costanzo Porta diretto da Antonio Greco.

Pian piano l’interpretazione prende forma. «La sintesi verdiana è strepitosa: la musica corrisponde perfettamente al dettato della parola. A Verdi è sufficiente una piccola, ma grandiosa, arcata musicale per delineare, fin dall’inizio, i tratti di Macbeth e Banco. Poche battute bastano per intendere la raffinatezza dell’inseguirsi delle note, come fossero dentro un cerchio».

L’interpretazione dei ragazzi. E quella del maestro Muti. Quella che negli anni (l’opera ispirata alla tragedia shakespeariana è tornata periodicamente sul leggio del direttore d’orchestra) ha proposto sempre convinto che «Giuseppe Verdi con la sua musica ci parla di noi». Lo ha mostrato, ancora una volta a Firenze, in chiusura dell’edizione numero 81 del Maggio musicale quando, per festeggiare i cinquant’anni dal suo debutto sul podio fiorentino, ha diretto, in forma di concerto, proprio Macbeth.

Due sere (più la prova generale aperta) che hanno visto il maestro festeggiassimo per il suo ritorno nel teatro che ha guidato come direttore musicale dal 1969 al 1981. Una lettura dove Muti racconta il Macbeth uomo più che il Macbeth re, tormentato da subito dai dubbi sulla legittimità di agire per ottenere il potere (le streghe e la dimensione fantastica non rendono meno veritiero il racconto, ma diventano proiezione degli incubi e dei pensieri di una mente malata). Lo scatto e il piglio spesso lasciano spazio a tempi di ampio respiro che suggeriscono la meditazione. Sull’uomo e sulla vita. In un racconto musicale sempre teatrale, forgiato sulla parola che evoca. Come il suono che Muti chiede e ottiene da orchestra e coro del Maggio, un suono ancestrale, a tratti da brivido, altri consolante e pacificatorio come nell’oasi del terzo atto quando, dopo le visioni del futuro, Macbeth privo di sensi è circondato dagli aeri spirti che devono «ridare la mente al re svenuto». Mente che non può non far pensare a quella dell’uomo di oggi, offuscata da odi e paure che portano a violenza e guerra, a gesti che denunciano la perdita di umanità come quotidianamente giornali e tg raccontano.

Macbeth è un uomo di oggi, dunque. Lo dice bene la grande prova di Luca Salsi, il Macbeth (e il baritono verdiano) di riferimento di oggi (in ottobre lo canterà al Festival Verdi di Parma e a novembre a Venezia per l’inaugurazione della nuova stagione della Fenice). Un uomo in caduta libera quello che disegna, con la sua voce piena e musicalissima e con il suo timbro avvolgente il baritono parmense. Generoso nell’assecondare e nell’adattare il suo fiume in piena vocale alla voce (sulla carta non proprio da Lady Macbeth) di Vittoria Yeo, intensa nella scena del sonnambulismo. anche a Firenze Banco era l’affidabilissimo Riccardo Zanellato. Francesco Meli, con il suo squillo tenorile inconfondibile, è Macduff, toccante nella celeberrima Ah la patena mano. Applausi interminabili per tutti.

Applausi che Muti ha interrotto lanciando ancora una volta un appello perché le spoglie di Luigi Cherubini possano tornare a Firenze da Parigi ed essere collocate in Santa Croce «dove c’è un sarcofago vuoto. Quando accadrà tornerò in città per dirigere il suo Requiem in re minore». Appello rivolto al Capo dello Stato Mattarella perché, ha ricordato il maestro, «sappiamo da musicologi importanti che Cherubini negli ultimi anni della sua vita espresse il desiderio di tornare a Firenze, ma non ci riuscì. Mi piacerebbe che tutta la città si unisse in questa richiesta, forse in questo modo potremmo farcela».

Nelle foto di Silvia Lelli l’Italian opera academy di Riccardo Muti al Teatro Alighieri di Ravenna

Nelle foto Pietro Paolini, Terraproject/ Contrasto Riccardo Muti dirige Macbeth al Maggio musicale fiorentino