Billy Budd e il naufragio dei sentimenti

A Roma riuscitissima lettura dell’opera di Benjamin Britten James Conlon sul podio, regia da Oscar di Deborah Warner

Quello dove approda Billy è un universo fatto tutto di uomini. Un universo che galleggia, perché è una nave da guerra inglese, l’Indomitable. Popolata da uomini forti. Almeno apparentemente. Che tirano funi e issano vele. Che giocano e bevono. Un universo, però, fragile. Fragilissimo. Dove l’anima è a fior di pelle. Ma dove i sentimenti devono essere dimenticati. Dove non c’è spazio per l’affetto perché può essere visto come debolezza. Allora meglio distruggere per non essere distrutti.

Parabola senza tempo il Billy Budd di Benjamin Britten, tratto da un romanzo di Herman Melville (il libretto dell’opera andata in scena nel 1951 è di Edward Morgan Foster e Eric Crozier) seppur ambientato nel 1797 sul mare. Perché le storie dei marinai dell’Indomitable sanno ancora parlare a noi di noi. Raccontano di un cuore che ha paura di amare. E che uccide (paradossalmente per proteggersi dall’amore) la bellezza. La bellezza – termine declinabile in purezza, innocenza, onestà, umanità – è quella che Billy porta nell’universo maschile della nave da guerra. Il cuore (diviso in due) è quello di John Claggart. ma anche del capitano Edward Fairfax Vere. Facce della stessa anima. Combattuti tra dovere e affetto. Tra ragione e sentimento. Il male e il bene, forse. Che, però, non hanno confini così netti sembra dire Britten con la sua musica che avvince dalla prima all’ultima nota. Specchio, entrambi, di un mondo che distrugge l’innocenza (tema che drammaticamente torna nelle opere del compositore inglese, da Giro di vite a Morte a Venezia a Peter Grimes) per paura.

Billy inquieta, interroga, è una presenza scomoda e deve morire. Parabola del nostro presente. Basta mettersi in ascolto della storia per capire che Billy, Claggart e Vere sono nostri contemporanei. Ce li racconta così, in un allestimento senza tempo, Deborah Warner, regista da Oscar che ha portato con grande successo al Teatro dell’Opera di Roma lo spettacolo (coproduzione della fondazione lirica della Capitale con Londra e Madrid) recentemente premiato con l’International opera award.

Una donna per raccontare un mondo tutto al maschile. Funziona. Quello della Warner è teatro all’ennesima potenza. Fatto di niente. La tolda dell’Indomitable è evocata nelle scene di Michael Levine dagli strumenti quotidiani del teatro, ponti mobili, funi, scale, fondali, proiettori a vista. Teatro che interroga perché non riesci a cancellare dalla mente l’immagine di Billy che dopo la condanna per ammutinamento sprofonda negli abissi della nave mentre il capitano Vere che vorrebbe accarezzarlo è risucchiato in alto, o l’impiccagione del ragazzo con Billy che sale una scala e scompare nella graticcia del palco. Un racconto vero (e duro) come la vita reso con intensità da James Conlon, abile nel tenere insieme dal podio canto e respiro sinfonico della partitura. Phillip Addis è un eccellente protagonista, credibile sul piano musicale e su quello scenico/atletico. Toby Spence (straordinario) e John Relyea sono Vere e Claggart, riflessi inquietanti delle nostre paure.

Nella foto di Yasuko Kageyama Teatro dell’Opera di Roma Phillip Addis (Billy) e Toby Spence (Vere)

Articolo pubblicato su Avvenire del 16 maggio 2018